River to River, tutto il bello del cinema indiano, l’impegno di Selvaggia Velo nel diffonderlo in Italia
Da 21 anni Selvaggia organizza il River to River, l’unico Indian Film Festival che si tiene in Italia, ecco cosa ci ha raccontato la fondatrice di questa edizione appena passata e non solo.
Intervista di Giorgia Grendene
River to River è il primo ed unico Festival di cinema indiano in Italia. Ideatrice e direttrice del festival è Selvaggia Velo che, nel 2001, trova a Firenze condizioni e spazi per poter realizzare il River to River connettendo due fiumi, il Gange e l’Arno. Una passione nata in maniera un po’ casuale, quella per l’India, partita da un’iniziativa del ’98 per organizzare una mostra di manifesti di film indiani. Nel ’99, quindi, si butta a capofitto nell’esperienza River to River “perché no, proviamo a fare anche questo, a portare in Italia anche i film, non solo i manifesti”.
Affascinate non solo dalle tematiche progressiste che vengono ogni anno riproposte nel festival, ma anche dal suo ruolo di coordinatrice, fondatrice e direttrice artistica di questo importante festival – e, in tempi recenti, anche di mamma –, l’abbiamo intervistata.
Come è nato il River to River Florence Indian Film Festival e qual è il tuo legame con l’India?
Inizia tutto nel 1998 con una mostra di manifesti di cinema indiano dipinti a mano. Poi con Sergio Staino, direttore dell’Estate fiorentina – rassegna culturale del Comune di Firenze che si svolge nei mesi estivi,.ndr – nell’anno successivo, si trovò un piccolo budget per portare a Firenze i pittori indiani di questi manifesti per farli dipingere en plein air durante gli eventi dell’estate fiorentina. In quell’occasione fu proiettato un film indiano in VHS. Nell’ottobre del 2001 poi si riuscì a organizzare il vero e proprio festival del cinema indiano, la prima edizione di River to River. Il 2001, per il cinema indiano, fu un anno importantissimo: Lagaan, infatti, vince al festival di Locarno e Monsoon Wedding di Mira Nair vince il Leone d’Oro a Venezia.
Cosa significa essere donna ed essere l’anima e il fulcro di un festival così importante per la cultura cinematografica?
In questi 21 anni di festival sono sempre stata io il volto e l’organizzazione dietro a un evento così vivo, vitaminico e pieno di arte; sicuramente è qualcosa di totalizzante e molto personalizzato. Quest’anno però è stato il primo in cui ho dovuto delegare per cause di forza maggiore, la mia maternità. Sono sempre stata abituata a fare tutto da sola e prendermi in carico ogni cosa del festival, l’allestimento, l’organizzazione, la selezione dei film, la ricerca degli ospiti, ufficio stampa ecc. quindi quest’anno delegare è stata sicuramente una grande sfida. Ma anche un grosso sollievo e spesso durante il festival mi sono chiesta perché non lo avessi fatto prima.
Dopo gli ultimi due festival tutti a distanza e in streaming, quest’anno si è respirata un’aria di ritrovata serenità anche nell’organizzazione del festival…
Gli scorsi anni si era riversato tutto sull’online, e non nego che è stata un’esperienza davvero straniante. Tutti i collegamenti erano live e io seguivo tutto dal teatro che avevo per l’occasione arredato in stile indiano: è stato strano parlare di fronte a un cinema vuoto, ma nonostante fossimo chiusi il calore del pubblico l’abbiamo percepito. Grazie alla live chat siamo riusciti a mettere in contatto sia il pubblico italiano che gli ospiti in collegamento dall’India. È stata però, per assurdo, molto più difficile l’edizione del 2021: la doppia modalità ha complicato tutto ed è sembrato di fare due festival insieme. Finalmente quest’anno gli ospiti sono stati in presenza e non più a distanza: il pubblico è arrivato anche da fuori Firenze, ed era molto interessato, vivace, tanto che ci ha ringraziato per la programmazione. Anche i talk che hanno inframezzato il festival e che seguivano le proiezioni sono stati molto vitaminici e coinvolgenti.
Famiglia, donne, coppie e amore: quest’anno si sono affrontate queste tematiche, le più care, da sempre, al River to River; quali sono stati i lungometrggi/documentari più apprezzati, da te e dal pubblico?
È vero, donne e famiglia sono temi cari da sempre a me e al festival, e ho sempre cercato di inserirli nella selezione dei film, anche in quella di quest’anno. Alcuni fra i documentari più densi di attualità e simboli sono stati Neither a Girl nor a Woman di Anjali Patil, un’indagine su cosa significhi essere donna nell’India di oggi, un documentario guidato da questo interrogativo rivolto all’india e non solo. Molto interessante e largamente apprezzato è stato anche Let’s Talk about Dharavi. Dharavi è il nome di uno fra gli slums più estesi di tutta l’Asia. Un viaggio in una delle più grandi baraccopoli del mondo che vede al centro i suoi stessi abitanti raccontati dal regista Sanjay Ranade e questo documentario ci ha restituito la testimonianza di 5 abitanti, da chi ci abita da sempre a chi ci è arrivato un po’ per caso – uno studente, un’istruttrice di calcio, un attore attivo politicamente, una guida turistica e un manager d’impresa –; il risultato è una narrazione caleidoscopica e sfaccettata di questa realtà.
Quando tornerai in India per ripartire con l’organizzazione del festival dell’anno prossimo?
Se non avessi la piccola Daria, appena nata, già questo marzo partirei per l’India, ma penso che se ne riparlerà con più certezza nel 2024.