Il lavoro al Tempo di IoP, parola di Filippo Poletti
Perché per ripartire è necessario mettere al centro le persone. Lo spiega Filippo Poletti, giornalista e influencer su Linkedin
Filippo Poletti, giornalista ed esperto di comunicazione, ha avuto una visione: per ripartire ai tempi del Covid-19 occorre mettere al centro le persone nel mondo del lavoro. Un anticipatore di un’esigenza che, con la pandemia, è diventata un imperativo per la società che verrà. Classe 1970, affermato influencer su Linkedin, Poletti pubblica il libro Tempo di IoP, Intranet of People (Dario Flaccovio Editore).
Si parla tanto dell’Internet delle Cose, IoT, e Poletti applica il concetto alle persone: Intranet of People, mettere al centro la comunicazione tra le persone sul lavoro. Nel libro si parla di fare rete in azienda e di aprire il dialogo a tutti e tra tutti, sia verticalmente sia orizzontalmente. Tematiche che il giornalista esplora attraverso interviste e conversazioni con esperti del settore.
In che modo la tecnologia può aiutare le aziende a mettere al centro le persone?
«È fondamentale perché accorcia le distanze. La pandemia ci ha divisi fisicamente e la tecnologia ci ha tenuti insieme. E quello che è successo negli ultimi mesi lo testimonia. Dal 21 febbraio, la data del primo caso di Covid-19, il manager Mattia, sono scattate misure restrittive crescenti fino al lockdown per tutte le attività commerciali e professionali ad esclusione degli alimentari e delle farmacie. Se non ci fosse stata la Rete saremmo stati tutti ancora più separati».
«La medicina è stata aiutata dalla Rete» dice Filippo Poletti
Tecnologicamente che cosa ti ha colpito del lockdown?
«Sono stato colpito da due aspetti. Il primo punto riguarda la ricetta elettronica per l’acquisto di farmaci. Questa mi sembra una grande conquista per la società. Mi ha sorpreso la velocità con cui si è attivata! Era un progetto in ballo da tempo e che, improvvisamente, è diventato necessario e perciò si è concretizzato. L’altro aspetto positivo che mi ha colpito riguarda le “cure mediche via skype”, cioè l’utilizzo della Rete per le visite ai malati. La tecnologia, anche qui, può essere davvero d’aiuto e anzi, a volte, indispensabile. Supera i muri e velocizza i tempi».
Nel tuo libro si parla di Intranet. Di che cosa si tratta e come funziona?
«Intranet è la Rete di comunicazione digitale diretta tra e con i lavoratori. Oggi la comunicazione interna è essenziale. Prima era vista come una “cosa bella”, ma dopo la pandemia è qualcosa di necessario. Il protocollo del 24 aprile per le aziende prevede la necessità di condividere le informazioni con i lavoratori. È una buona idea e gli strumenti ci sono. Anche scambiarsi mail è fare comunicazione interna. Il dialogo è necessario per il lavoro».
Lo psicologo digitale in azienda
Serve la figura dello psicologo/coach nelle aziende? Può essere un servizio “digitale”?
«Da un po’ di tempo curo una rassegna quotidiana su Linkedin sul mondo lavoro con un bel seguito (quasi 60 mila follower, ndr). Ogni giorno segnalo come e cosa sta cambiando. E la figura del coach è in crescita. Lo psicologo, dove fosse possibile, è un ottimo strumento per migliorare le dinamiche lavorative perché aiuta ad abbattere i muri difensivi. Io suggerisco di immaginare la comunicazione interna come una piattaforma per creare empatia. Per esempio, condividendo una buona notizia per iniziare la giornata bene».
È sufficiente? Il lavoro è unsistema verticale dove, spesso, vige la legge del più forte…
«Vero, ma oggi non si scherza. Questa crisi coinvolge tutti e e a tutti i livelli. O uniamo le forze oppure non le uniamo. Non c’è scelta».
Durante la quarantena le aziende hanno scoperto lo smart working, nei prossimi anni sarà la forma di lavoro predominante? Non si rischia un nuovo tipo di “sfruttamento”?
«Il Decreto Legge Poletti, non è un mio parente (ride, ndr) sullo smart working prevede il diritto alla disconnessione, ovvero il diritto ai tempi di riposo. Il “sempre connesso” è sicuramente un rischio. C’è un acronimo, che non ho inventato io, ma che aiuta a capire quali sono i rischi: FOMO, Fear Of Missing Out, ovvero la paura di essere tagliati fuori dalla Rete, che può essere un effetto negativo dello smart working. A questo dovrebbe invece subentrare la “gioia di disconnettersi”. Un’idea di Christina Crook (esperta di comunicazione canadese nota come la Marie Kondo del digital, ndr) che lanciò l’acronimo JOMO, Joy Of Missing Out. Insomma ogni tanto vale la pena staccare per stare meglio e per lavorare meglio» (Intervista pubblicata su www.trameetech.it).
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