Tutti i colori di Vivian Maier
In mostra allo Spazio Forma Meravigli fino al 19 gennaio 2020 le opere a colori di Vivian Maier, artista inconsapevole scoperta per caso da John Maloof
La Mary Poppins della fotografia amava anche scattare a colori. Vivian Maier, scoperta nel 2007 per caso da un giovane rigattiere americano, John Maloof, per la prima volta è in mostra alla Spazio Forma Meravigli a Milano con le sue opere a colori nella mostra Vivien Maier, a colori. In scena però sempre i suoi soggetti preferiti: le persone di tutti i giorni. Dall’homeless ai bimbi che giocano in strada ai suoi – rari – autoritratti, la Maier racconta il suo modo di capire gli altri. Fatti di solitudini, allegrie e tristezze. Come lei, forse.
Vivian Maier, scoperta per caso
Di questa bambinaia, amatissima dai bambini, ma che è rimasta sola fino alla morte, non si sa molto. Se non quello che si evince dai suoi scatti e i rari documenti salvati da Maloof, il quale con soli 380 euro si è aggiudicato a un’asta una scatola con gran parte della produzione della fotografa americana. Un investimento davvero ridicolo che però ha fruttato al giovane notorietà e anche una discreta fortuna. Considerato che Maloof ha anche realizzato un docufilm su Vivian Maier – Finding Vivian Maier – che si è aggiudicato un Oscar nel 2015.
Ma chi era Vivian Maier?
Non solo una bambinaia, questo è poco ma sicuro. In lei si è nascosta per decenni una grande artista che il caso ha voluto che si scoprisse soltanto dopo la sua dipartita. Un inverno del 2008, infatti, la Maier scivolò accidentalmente su una lastra di ghiaccio e picchiò la testa. Morì l’anno dopo, sola e senza un soldo. Ed è anche un caso che Maloof non fece in tempo a trovarla. Dal 2007, anno in cui il ricercatore recuperò il prezioso tesoretto di immagini e rullini – la Maier pare che produsse quasi 150mila negativi molti dei quali mai sviluppati – la cercò ovunque senza esito.
Misteriosa, come un “soldato triste”
Antesignana della Street Photography, sebbene ignara di esserlo, la fotografa è stata paragonata a Emily Dickinson le cui poesie furono scoperte solo dopo la sua morte. Un destino – o una scelta di vita – che traspare nei suoi pochi autoritratti. Alessandro Baricco l’ha descritta così «lineamenti duri, maschili, sguardo da soldato triste, una sola volta un sorriso, il resto è una piega al posto della bocca. Impenetrabile, anche a se stessa». Sarà vero? Non lo sapremo mai.
Dopo un lungo viaggio arriva il colore
Quello che possiamo pensare di lei è molto semplice: sapeva raccontare di sè e del mondo con le immagini. C’è una donna sola, con un cappotto rosso, sullo sfondo una stazione grigia. Il resto del persone sono grigie. Lo scatto è senza titolo. L’occhio attento della Maier ci ha visto molto in lei. E non servono molte parole.
Gl occhi di Vivian, inoltre, sono stati in giro per il mondo. La solitaria e modesta nanny, vissuta tra New York City, Chicago e Champsaur, la sua cittadina d’origine in Francia, in realtà hanno visto molti altri luoghi. Tra il 1959 e il 1960 la bambinaia si prese sei mesi sabbatici e partì sola per un lungo viaggio tra Asia e Medio Oriente. Ed è proprio dopo questa esperienza che iniziò a scattare a colori.
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